Spring Summer 2014

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Mila Schon

venerdì 15 febbraio 2013

Incontro con Mr Fiorucci

Avevo già intervistato anni fa Elio Fiorucci per un quotidiano milanese con cui collaboravo come capo servizio moda, e in effetti pensavo di aver già preso tutto quello che si poteva da questo meraviglioso personaggio. Ma non bisogna mai sottovalutare lo splendore che ti dà solo il rapporto umano, intendo dire che poi quando ti siedi a un tavolo per il semplice piacere di scambiare quattro chiacchiere con una persona scopri tante cose nuove di lei. Niente mail. Niente telefonate col registratore. Io, lui, ma non solo. Sono entrata nel suo showroom con Giovanna Munao, la sua pierre storica, e le mie fedeli collaboratrici, la mia stylist Barbara Calabrese e la manager Carola Damiano. Amiche. Dopo un giro al piano di sotto di Via Vittorio Veneto 6, a Milano, dove c’è l’anima di Fiorucci (abiti, oggetti, calendari, gadget di ogni genere, rigorosamente rosa, gialli, blu, meravigliosamente cromati), ci siamo quindi accomodate a cerchio intorno alla sua scrivania. Per certi versi sembrava di essere a casa di uno zio, tanto il Sig. Fiorucci è stato caloroso e disponibile nei nostri confronti. Un uomo grande e piccolo insieme, talmente puro negli occhi e nello spirito, un genio dell’arte e un fantastico compagno di intervista. Come non amarlo al primo sguardo? Ho iniziato la mia intervista dicendogli che volevo dedicargli uno spazio nel mio blog per tre ragioni: uno, il colore, che è il tema dominante del mio redazionale, due perché so che crede molto nei giovani e nei nuovi mezzi, uno che si è sempre rinnovato nella vita, che insomma non avrebbe fatto quella faccia strana “blooog?”, tre perché vuoi per caso lo incontro sempre alle stesse presentazioni alle quali sono invitata anch’io. “Il caso…”, ha subito interrotto. “Che cos’è il caso? Possiamo parlare veramente di coincidenze?” E mi fa l’esempio del semino della pesca. Che se ne sta lì bello tranquillo nel suo nocciolo per poi bucarlo con una forza disumana e permettere alla pianta di far nascere le sue radici, i germogli, i fiori. I fiori, per restare in tema. Barbara ha quindi lanciato la provocazione del destino religioso, ma Elio Fiorucci l’ha subito fermata, con discreta educazione, dicendo che in natura tutto è previsto per un disegno più grande, anche il seme della pesca è come un piccolo ingegnere che è stato previsto per creare tanti altri piccoli ingegneri che svolgeranno lo stesso compito fino alla fine della loro vita. Ma si è dichiarato, ragionevolmente, ateo. La religione è, e concordo, un semplice “costume” di dove cresci, nasci, muori. Se io fossi nata al Cairo, probabilmente oggi sarei mussulmana, per fortuna sono milanese, mi è andata meglio! “La vita è un mistero!”, ha concluso Fiorucci. E se non è un mistero la storia di come nasce il fior di pesco, non so cos’altro possa esserlo. Poi c’è stato un piccolo dibattito sulla felicità e sul concetto di giudizio, che esiste solo fra esseri umani. Le capre e le galline non giudicano quello che la natura ha stabilito per loro. “Il bene fa la felicità, quando fai del bene sei felice”, ha sapientemente deciso per tutti. Mi ha ricordato un po’ Socrate, con quella esperta capacità di parola che alla fine ti porta ad accettare un ragionamento solo per la logica in sé. Fiorucci è nato e cresciuto in un paesino vicino a Como, milanese di origine, ma sfollato in tempo di guerra. La guerra l’ha comprensibilmente segnato, tanto che l’argomento è ritornato più di una volta durante la chiacchierata. La guerra però è stata anche la sua fortuna, perché gli ha permesso, vivendo fuori città, di apprezzare e conoscere gli elementi della natura. Accanto alla sua postazione ci sono dei quadri che ritraggono galli e uno stuolo di “Biancanevi”, regalatogli ironicamente per il discorso dei nanetti. Che tutti conosciamo. Gli ho dunque chiesto com’è nata l’idea del nanetto. “Il logo Fiorucci inizialmente era dato dagli angioletti raffaelliani, ma quando ho ceduto il marchio ho ceduto anche l’iconografia. Dovendo allora riproporre una nuova immagine ho pensato al nanetto, perché quando ero bambino mi raccontavano sempre storie di elfi e piccoli personaggi del bosco, che ho amato tanto, nascosti fra gli alberi e le piante della campagna”. L’esperienza rurale, i fiori, i colori sono in effetti diventati il life motif della sua intera carriera, oltre che esistenza. “Il colore – per rispondere alla mia domanda, come mai il colore? – è importante perché è la prima cosa che ti si imprime quando sei piccolo, insieme ai profumi. Il mio primo ricordo sono questi immensi campi di papaveri”. Pelle d’oca generale… “Del resto ce l’ho nel nome”, Fiorucci! Ha iniziato con l’idea di lavorare e basta, perché mentre tutti i suoi fratelli studiavano lui era l’unica disperazione del padre commerciante di pantofole, che non ne voleva sapere. Così entrando nella bottega di famiglia ha cominciato a metterci del suo personalizzando proprio le pantofole. Una volta accessorio necessario quando si entrava in una casa. Oggi la cosa lascia basiti, non entri quasi mai in una casa togliendoti le scarpe perché le consideri un indumento quasi intimo. Personalizza oggi personalizza domani, ha dato vita a una vera e propria gamma di accessori che inizialmente gli erano più che altro richiesti dalle mamme degli asili (per i bimbi che entrando a scuola si toglievano, appunto, le scarpe, e le mamme entravano in visibilio pur di avere quelle più carine). Poi ha studiato un metodo per rendere meno brutti quei tutori da gesso che tra l’altro ti costringono sempre a un dislivello tra un piede e l’altro. Fino ad aprire il primo negozio in Via Torino. Lo storico store di Corso Vittorio Emanuele è arrivato dopo, quando viaggiando, specialmente su Londra, ha capito che la gente voleva seguire la moda, prima di tutto. E allora ecco assumere bellissime modelle vestite col suo Brand e indossare i suoi capi live, come si direbbe ora. Negozio reso ancora più spettacolare da musica, ospiti d’eccezione (il giorno dell’inaugurazione ci ha raccontato che per caso è entrato anche Adriano Celentano che passava di lì con la sua Cadillac rosa). Nel ’65 le minigonne hanno cambiato la storia, e Fiorucci si è imposto/proposto sul mercato con gli stivali alti al ginocchio fluo, scatenando nelle donne la voglia/bisogno di averli! E il resto è storia, la storia che conosciamo tutti. Ma come ha fatto a restare sempre al passo coi tempi? Ci ha regalato gadget e figurine, prima di finire. “Vedi queste figurine? Quando sono nate il brief allo studio grafico era quello di realizzare ogni volta una scritta diversa, perché se resti sempre uguale non cambi insieme al mondo….”



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